25 anni di Politica tra Carisma, Consenso e Algoritmi

Picture of Alfonso Fanella

Alfonso Fanella

Certified Google ADS

Nel volgere di un quarto di secolo, la comunicazione politica ha subito una trasformazione senza precedenti. L’evoluzione dei media – dalla centralità della televisione alla pervasività dei social network – ha riscritto le regole del consenso. I leader politici, da figure istituzionali a protagonisti dell’arena mediatica, si sono progressivamente adattati (o reinventati) in un ambiente in cui visibilità, immediatezza e impatto emotivo sono diventati decisivi.

A guidare questa transizione, alcuni personaggi chiave: Silvio Berlusconi, pioniere del rapporto tra media e potere; Barack Obama, simbolo della svolta digitale; Donald Trump, fautore della politica post-verità. In Italia, accanto a Berlusconi, emergono figure come Beppe Grillo, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ciascuno con un linguaggio, una strategia e una visione comunicativa ben precisa.

1. Anni 2000: La televisione come centro del potere

La lezione di Silvio Berlusconi

All’inizio del nuovo millennio, la televisione è ancora il principale veicolo del messaggio politico. Nessuno lo sa usare meglio di Silvio Berlusconi, che non si limita a “comparire” in TV: la possiede, la domina, la plasma a propria immagine. Il leader di Forza Italia costruisce un’identità politica fortemente legata all’immagine, all’empatia e alla ripetizione efficace di concetti semplici.

Berlusconi parla direttamente al “popolo televisivo”, bypassando i corpi intermedi, utilizzando la TV come prolungamento del proprio carisma. I suoi telegiornali sono strumenti di consenso, i suoi programmi di intrattenimento sono terreno fertile per costruire familiarità e fiducia.

In quegli anni, la stampa perde progressivamente rilevanza. I giornali sono ancora centrali per l’analisi, ma la televisione è il luogo dove si costruisce il consenso.

2. 2008: La rivoluzione digitale in america

La rete dietro la vittoria di Barack Obama

Il 2008 segna un passaggio epocale: la vittoria di Barack Obama introduce l’era della comunicazione digitale e dell’attivismo online. La sua campagna è la prima a integrare pienamente il potenziale di Internet: email, social media, micro-donazioni, video virali.

Obama inaugura la politica della partecipazione: grazie a Facebook e YouTube, ogni sostenitore può diventare moltiplicatore del messaggio. I contenuti sono pensati per viaggiare in rete, essere condivisi, commentati, personalizzati.

Il suo team studia il pubblico attraverso dati e comportamenti, aprendo la strada al micro-targeting elettorale. Nasce così un nuovo modello: quello del politico che comunica con le persone, non solo alle persone.

E in Italia?

Nel frattempo, in Italia trionfa nel 2006 la coalizione di sinistra guidata da Romano Prodi, ma nel 2008 si vede il ritorno trionfale di Silvio Berlusconi. La sua campagna è costruita ancora una volta attorno alla TV generalista, ai talk show, ai telegiornali controllati, e a una narrazione semplificata e diretta. Internet viene usato solo marginalmente, spesso in modo accessorio e non strategico.

Mentre Obama usa il digitale per coinvolgere, organizzare, finanziare e mobilitare, i leader italiani continuano a usare la comunicazione in modo verticale, centralizzato e unidirezionale. La relazione con l’elettore è ancora mediata da giornali e TV, e manca una vera cultura del dialogo digitale.

3. 2010–2015: L’Italia scopre la rete

Tra antipolitica e populismo

Negli anni successivi, anche l’Italia comincia a sperimentare una comunicazione più diretta e partecipativa, seppur con caratteristiche diverse. Il Movimento 5 Stelle, fondato da Beppe Grillo, si afferma come espressione di rottura radicale: niente TV, niente giornali, solo blog, comizi in piazza e video autoprodotti.

Grillo parla al “popolo della rete”, intercettando malcontento, sfiducia e voglia di trasparenza. Lo stile è aggressivo, ironico, spesso conflittuale. La politica si trasforma in performance digitale.

Contemporaneamente, Matteo Renzi utilizza Facebook e Twitter per costruire una narrazione “smart”, dinamica, propositiva. Rappresenta un tentativo di ibridazione tra la comunicazione tradizionale e quella digitale.

4.2016: La politica della post-verità

Donald Trump e l’esordio del “Tutto è concesso”

Il 2016 è l’anno di Donald Trump e dell’affermazione definitiva dei social media come spazio politico primario. La sua comunicazione è diretta, brutale, divisiva. Twitter diventa il suo megafono personale: insulti, annunci, provocazioni, tutto in tempo reale.

Trump rompe gli schemi della comunicazione istituzionale: non argomenta, afferma. Non cerca il consenso trasversale, ma la fidelizzazione estrema. I media tradizionali vengono attaccati sistematicamente, etichettati come “fake news”, ridotti a nemici del popolo.

Si entra così nella stagione della post-verità, dove i fatti contano meno della percezione e l’emozione prevale sull’argomentazione. Un cambiamento radicale che influenza anche la politica europea.

5. 2020–2025: La politica diventa social-first

La politica italiana a colpi di post flash

Negli anni più recenti, complici la pandemia e l’ulteriore diffusione degli smartphone, la comunicazione politica è diventata totalmente digitale. Le dirette Facebook, i post Instagram, i video su TikTok, i reel e le stories sono strumenti quotidiani.

Matteo Salvini domina per anni la scena con una strategia social martellante: selfie, felpe, frasi ad effetto, attacchi mirati. La narrazione è identitaria, polarizzante, incentrata sulla presenza costante, parlando di tutto in maniera randomica, dalla politica, al Milan, alla focaccia al formaggio di Recco.

La politica diventa forzatamente frendly, istituzionalizzando un approccio disimpegnato, impensabile fino a qualche anno prima.

Giorgia Meloni, pur mantenendo toni più istituzionali, costruisce con attenzione il proprio profilo digital: messaggi compatti, tono deciso, storytelling patriottico. La politica si adatta agli algoritmi: brevi, visibili, memorabili.

Dall’argomentazione all’emozione: il potere delle storie

La grande trasformazione della comunicazione politica sta tutta qui: non si vince più con programmi dettagliati, ma con narrazioni potenti. Il linguaggio si semplifica, il messaggio si emoziona, il contenuto si confeziona per essere condiviso.

Il cittadino non è più solo elettore, ma follower. Il consenso non si misura nei sondaggi, ma nelle visualizzazioni. La comunicazione politica diventa storytelling emozionale, un’arte fatta di scelte stilistiche, visive e lessicali.

6. Il futuro: IA, disinformazione e nuovi scenari

Guardando avanti, il panorama della comunicazione politica si fa ancora più instabile e imprevedibile. L’intelligenza artificiale generativa consente già oggi di produrre contenuti testuali, audio e video personalizzati in tempo reale, capaci di simulare linguaggio umano, tono emozionale, perfino la voce o il volto di un candidato.

I deepfake – video o immagini manipolate tramite AI – pongono serie minacce alla percezione della realtà: possono alterare eventi, attribuire dichiarazioni mai fatte, generare scandali artificiali. A ciò si aggiunge il fenomeno della disinformazione virale, che sfrutta la velocità dei social network per diffondere notizie false prima che possano essere verificate.

Un caso emblematico si è verificato proprio in Italia nel 2024, quando Renato Schifani, presidente della Regione Siciliana, ha pubblicato un post istituzionale su Facebook generato con l’ausilio dell’IA, ma dimenticando di rimuovere l’istruzione iniziale rivolta all’intelligenza artificiale.

Il risultato è stato disastroso: in pochi minuti, lo screenshot è diventato virale, sollevando accuse di superficialità, manipolazione e scarsa trasparenza. Questo episodio ha acceso un dibattito pubblico sulla legittimità e sull’autenticità dei contenuti istituzionali prodotti tramite AI.

Il punto non è tanto “chi ha scritto”, ma quanto ci si può fidare di una comunicazione che appare sempre meno autentica.

La sfida dei prossimi anni sarà proprio questa: difendere la credibilità, garantire l’origine verificabile delle informazioni, e soprattutto riportare al centro la sostanza, il contenuto politico, senza cadere nella trappola dell’estetica algoritmica.

In un contesto dove tutto può sembrare vero, la vera sfida sarà dire la verità, in modo semplice, umano, credibile. Ma i cittadini, italiani e non, avranno la capacità critica per apprezzare uno scenario politico dove sono i contenuti e non gli slogan a fare da padroni?

Segui il nostro podcast!

Sei interessato a uno dei nostri servizi?

Contattaci per scoprire le soluzioni più adatte per la tua realtà aziendale

Oppure chiamaci direttamente per avere informazioni su costi e servizi

Tags:

Condividi:

Facebook
LinkedIn
WhatsApp
Telegram

Leggi anche