Gli Inlfuencer sono in crisi?

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Alfonso Fanella

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Sembra essere arrivato il momento che molti aspettavano. La fine della bolla degli Influencer

Muoversi nel mondo degli influencer non è semplice. Questo mondo assomiglia agli affollati negozi durante i saldi o, per trasmettere maggiormente il concetto, le stradine sommerse di negozianti del souk di Marrakech: sembra che tutti vendano la stessa roba, che non ci sia differenza tra una bottega e l’altra, che il modo di esporre e di vendere gli oggetti sia uguale e che tutto sia preconfezionato per il turista.

 

Un settore fumoso

Trovare qualcosa di autentico, e quindi di valore, sembra essere impossibile. E il vantaggio di sfruttare un influencer per il suo grande numero di follower? Le aziende adesso hanno qualche perplessità: sono utenti reali? Portano un valore aggiunto alla brand awareness? Alla fine dei conti, mi ritorna qualcosa in termini da questa attività?

 

Troppo offerta e parecchi dubbi

Il mercato degli influencer segue lo stesso concetto di qualsiasi altro mercato: quando c’è troppa offerta di un prodotto, questo si svaluta: le nostre bacheche social sono sommerse da travel blogger che ripetono sempre gli stessi schemi fotografici, un numero indecifrato di fashion e beauty influencer che mostrano prodotti di brand semi sconosciuti, che finiscono a essere uno dei tanti prodotti, promossi da uno dei tanti influencer.

 

Il cambio di tendenza

Secondo Forbes il 2019  si è chiuso con 10 miliardi di dollari all’attivo per gli influencer. Tanti, tantissimi soldi. Eppure, la sensazione che ci sia un’inversione di tendenza dopo un boom incredibile che ha colto impreparate gli asset tradizionali della pubblicità. La stessa crisi causata dal Coronavirus potrebbe avere effetti devastanti per il mercato degli influencer. Nelle attività di promozione, quella dell’influencer marketing è sempre stata un attività di “contorno” rispetto alle principali. Adesso potrebbe essere del tutto accantonata in un ottica di spending review.

 

I primi segnali di cedimento

La campagna pubblicitaria dello scorso febbraio di Diesel è stato un chiaro segnale del cambiamento di tendenza, sia da parte dei brand che dei consumatori, della percezione di ciò che significhi essere influencer: persone che vivono una vita non autentica, che diventano cose tra le cose, intrappolati nella ragnatela fittizia che hanno creato. Strumenti funzionali agli stessi strumenti che volevano sfruttare.

 

In questo mercato pruriginoso si inseriscono poi un numero indecifrato di micro-influencer, nano-influencer e tutto un sottobosco di “professionisti” della comunicazione più o meno indecifrati e non categorizzabili.

 

La grande bolla sta per scoppiare

Forse siamo al capolinea della grande bolla degli influencer. In questo senso però bisogna sempre escludere i top player, come la Ferragni per il caso italiano, veri e propri fenomeni che hanno saputo dal nulla creare una personalità con un peso specifico non indifferente sulla rete.

Per il resto, spesso e volentieri, “non si tratta di persone che hanno veramente qualcosa da dire, ma semplici individui che hanno accesso a una connessione internet” (cit.). Nella speranza di tirarci fuori un lavoro ben retribuito e che dia loro fama e gloria, sul web, nei secoli dei secoli. Amen

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