La “Generazione Z”: chi sono, cosa fanno e come si comportano sul web

Roberto Vassallo

Roberto Vassallo

Con generazione Z s’intende coloro che sono nati tra la fine anni ’90 e il 2010, e sono la prima generazione “nativa digitale”. I membri della Generazione Z sono considerati come avvezzi all’uso della tecnologia e i social media, che incidono per una parte significativa nel loro processo di socializzazione. Sono il target del futuro, quello che nei prossimi anni influenzerà di più le strategie di digital marketing delle aziende.

Alcuni dati:

È la prima generazione mobile-first della storia. Uno studio del GlobalWebIndex mostra che il 97% degli appartenenti alla Generazione Z possiede uno smartphone e che per 7 utenti su 10 questo rappresenta il mezzo prediletto per collegarsi a Internet. Da mobile i giovanissimi passano connessi quasi 3 ore e 40 minuti, 50 minuti in più della media globale. La Generazione Z è la prima nata dopo la nascita del web e quando una sorta di rivoluzione nel settore dell’elettronica di consumo era stata già compiuta, rendendo di fatto i cellulari e i primi dispositivi portatili disponibili anche al grande pubblico.

Per la Generazione Z, così, il vero rito di passaggio dall’infanzia all’adolescenza è rappresentato spesso dal possesso di uno smartphone o di un cellulare connesso a Internet. Difficile pensare, allora, che qualsiasi azione quotidiana di questi giovanissimi non passi attraverso le nuove tecnologie che si portano tutto il giorno dietro: per cui la distinzione tra online e offline, tra vita reale e vita virtuale ha perso di senso e, ancora, la prima a vivere costantemente onlife.

In più di un’occasione gli esperti si sono interrogati sui rischi che provenivano da questa dipendenza dei più piccoli da tecnologie e ambienti digitali e sugli effetti che questo stato di costante connessione potesse avere su felicità e soddisfazione percepite, se non addirittura sulla salute mentale degli adolescenti. I risultati sono stati diversi, non sempre in perfetto accordo, se non quando si trattava di mostrare appunto come per i giovanissimi della Generazione Z fosse impossibile distinguere la propria vita online da quello che succedeva appena disconnessi.

Twitch, youtube, tiktok:

Chi sono gli streamer, cosa fanno, conoscere il loro mondo, conoscere i loro “follower”, i gusti, le passioni, le paure e sopratutto come si rapportano con la realtà “vera”, con la scuola, con i genitori, con le news, se sono consapevoli di ciò che li circonda e che cosa si aspettano dal futuro e di come vorrebbero che fosse. Intervistare alcuni di loro, dare visibilità e far conoscere un mondo che per la maggior parte degli “over qualche cosa” non è minimamente concepibile. Parlare di youtuber, tiktoker, del web, delle nuove tecnologie, di programmazione e applicazioni e di come funzionano, conversare di sistemi operativi, di dark web, di videogiochi, di web radio e podcast, di musica e nuove tendenze, di social network, delle nuove professioni emergenti, giovani che comunicano e discutono, che si confrontano e sopratutto che fanno conoscere agli “adulti” il loro mondo raccontato da loro stessi e non da qualche “guru”, spiegato con un linguaggio che non sarà il virtuosismo forbito di qualche “professorotto”, né il pontificare edotto e bigotto di qualche “sotuttoio”, ma il gergo semplice a volte anche scurrile ma efficace, di una generazione che se lasciata ancora a se stessa, finirà come quelle che l’hanno preceduta, perduta come nozione in una pagina di wikipedia.

Parlare alle nuove generazioni e non solo.

Per capire bisogna conoscere, per conoscere bisogna imparare, per imparare bisogna fare, per fare bisogna avere la volontà, la modestia e sopratutto l’umiltà di ricominciare con qualcosa di nuovo, qualcosa che non si è mai fatto, scendere dal proprio piedistallo e inginocchiarsi, sporcarsi le mani senza giudicare. Questo è solo il presupposto per cercare di capire ciò che le nuove generazioni vogliono dire, parlare il loro linguaggio, non mi risulta che a oggi vi siano programmi per loro, la TV tradizionale è troppo impegnata con la troppa infodemia per capire come dirigere le notizie per impegnarsi a creare un format per i giovani che non siano i soliti “talent” e “grandi fratelli” vari. La TV è obsoleta è per i vecchi, le nuove generazioni prediligono altro tipo d’intrattenimento.

In conclusione, cercare nuovi canali di comunicazione che non siano quelli classici (vedi TV) e che per ovvi motivi di palinsesto e costi, non permetterebbero i “tempi” necessari per essere assimilati e che allo stesso tempo siano fruibili anche offline e non solo da chi fosse interessato, ma che possano accogliere un platea più ampia di fruitori, senza che nessuno sia tagliato fuori e dove ognuno abbia la possibilità di esprimere la propria opinione, senza essere giudicato.

Quale piattaforma?

Lasciando perdere i social network come Facebook, Instagram e Tiktok, dove l’interazione e la fruizione è data dalla parte “live” del momento, senza possibilità delle registrazione della stessa e ogni evento è reperibile solo per 24 ore, dopo di che viene eliminato, si potrebbe usufruire dei socialmedia, come Youtube e in qualche modo Twitch, dove gli eventi “live” sono registrabili e fruibili anche a distanza di tempo (non dimentichiamoci che Youtube è stato acquistato da Google e il suo motore di ricerca interno è lo stesso), quindi con la possibilità di engagement con i commenti e le allerte (avvisi di un nuovo video)

Cosa ci si guadagna?

Visibilità, credibilità e l’acquisizione di quella parte di possibili fruitori, che di solito sono “scartati”dalla TV generalista, perché normalmente poco appetibili e interessanti o troppo lontani dal “pensiero mainstream”

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